Il futuro non esiste

warrior

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[Lettera aperta a Fabrizio Venerandi, sommo edittore et mastro tecnologo, che in data odierna ha emanato un’ottima disamina delle politiche di Amazon. E che pure mi spinge a rimarcare un punto, prendendone le distanze di lontano]

Siamo tutti sulla stessa barca.
Ma è affondata

(anonimo)

 

«Nessuno, disse Austerlitz, possiede oggi anche solo una vaga idea di come sia sterminata la bibliografia sulla tecnica delle fortificazioni, di quanta inventiva sia contenuta nei suoi calcoli geometrici, trigonometrici e logistici, a quali ipertrofici eccessi sia giunto il linguaggio specialistico circa l’arte della fortificazione e dell’assedio, e nemmeno capisce ormai i termini più semplici come escarpe e courtine, faussebraie, reduit o glacis; e tuttavia, persino nella nostra prospettiva odierna, ci è possibile constatare che sullo scorcio del XVII secolo, fra i diversi sistemi, venne infine delineandosi come pianta privilegiata il dodecagono a forma di stella con controfosso, un modello di tipo ideale, derivato per così dire dalla sezione aurea e in effetti – lo si può ben comprendere esaminando gli intricati disegni di fortezze come quelle di Coevorden, Noef-Brisach o Saarlouis – senz’altro accessibile perfino dall’intelligenza di un profano quale emblema della forza assoluta nonché dell’ingegno ingegneresco posto al suo servizio. Nella prassi strategica, però, nemmeno le fortezze a stella, costruite e perfezionate dappertutto nel corso del XVIII secolo, raggiunsero il loro obiettivo: tare era la concentrazione su questo schema, infatti, da indurre a trascurare la circostanza che le fortezze più imponenti attirano, com’è nella natura delle cose, anche le forze nemiche più imponenti; che quanto più ci si trincera, tanto più risolutamente ci si mette sulla difensiva, costretti alla fine ad assistere, da una postazione fortificata con ogni mezzo immaginabile e senza poter fare nulla, a come le truppe nemiche, aprendosi altrove una zona di combattimento scelta da loro, ignorino bellamente le fortificazioni, trasformate in arsenali a regola d’arte, sovraccariche di bocche da fuoco e sovraffollate di uomini. È perciò accaduto più volte che, proprio mentre si intraprendevano opere di fortificazione, fondamentalmente segnate, disse Austerlitz, da una tendenza allo sviluppo paranoide, si sia lasciato scoperto un punto decisivo, spalancando così le porte al nemico, per non parlare poi del fatto che, con la crescente complessità dei progetti, andava altresì aumentando il tempo di attuazione e quindi la probabilità che, a lavoro appena concluso, se non addirittura prima, le fortificazioni risultassero già superate per via dei nuovi sviluppi prodottisi nell’artiglieria e nei programmi strategici, sempre più consapevoli del fatto che tutto si decide nel movimento e non nella stasi».

W. G. Sebald, Austerlitz

 

Caro Fabrizio,

lo so, la vita è fatta di cose incomprensibili e cialtrone.
Quando ero piccolo (ma piccolo: andavo tipo in ultima asilo o in prima elementare) una mattina sono salito sul pulmino che veniva a prendermi sotto casa con le ciabatte e SI’, sono proprio andato a scuola con le ciabatte!

Ecco, forse adesso avrei proprio bisogno di uno dei tuoi dialoghi surreali per sopportare il disagio che, se ripenso a quella mattina, ancora mi risale dentro in stile peperonata.
Di fronte al dileggio dei compagni, al sopracciglio alzato in piena trance da cipiglio della suora, la mia strategia insulsa, beota e (giustamente) infantile è stata quella di aggrapparmi a un bluff di pseudo-ragionevolezza. A chi mi apostrofava richiamandomi all’ordine, stigmatizzando il mio essere a scuola in ciabatte, io replicavo più o meno così: “Non sono pantofole! Non sono ciabatte! Sono scarpe da casa”. Devo ammettere che nella sua scempiaggine un qualche talento quella risposta lo aveva: trattandosi di pantofole chiuse sul calcagno, nella designazione che mia madre mi aveva inculcato quelle “scarpe da casa” consentivano di non ricorrere alle volgari ciabatte aperte di dietro. In questo modo mi era concesso di evitare di rendere il mio foot-on un ciabattante trapestio domestico, optando invece per una se non più elegante almeno più sobria calzatura chiusa, che donava al passo un più tenuto e onesto incedere casalingo.

Ora, anche al più sventato osservatore un ragionamento di tal fatta prestava il fianco a una replica impietosa. Ammesso e non concesso che quelle che indossavo fossero anche delle calzature riconducibili alla categoria di “scarpa”, rimaneva il fatto che trattavasi appunto sì di scarpe ma di scarpe da casa, cosa che malauguratamente ribadivano il fatto che fosse quanto mai inopportuno che io le calzassi, fellone!, al di fuori delle mura domestiche, e per di più a scuola, luogo eletto di ogni sorta di efferatezza e sconcezza inenarrabili.

Ecco, di nuovo: quando leggo i tuoi rintuzzi sull’editoria smagolata, il tuo argine contro la supercazzola della scrittura connessa e marrana, il tuo intelligente richiamo al già noto, ti vedo un po’ così: all’asilo in ciabatte.

Stamane poi, DOPO aver intrapreso questa lettera, mi sono imbattuto nelle tue giuste rampogne contro Amazon e ho sentito il click, come dire che ho avuto la prova provata: è fastidioso ammetterlo ma sei a scuola in ciabatte.

Ora le controargomento, senza prenderle di punta: nessuno mai ha abbattuto un potentato con la razionalità, con un redde rationem, con una crociata intellettuale o una levata di scudi.
Amazon ha ormai un vantaggio competitivo incolmabile ed è suicida affrontarlo a viso aperto.
Come si espugna un fortilizio blindato, armato fino ai denti, inespugnabile? Non con una guerra di logoramento. E allora come? Cambiando la logica degli approvvigionamenti, minando i presupposti della sua rendita di posizione, ovvero rendendo obsoleto i suoi asset e il suo know-how. La cultura edita, il pubblicato, è accatastabile e qualcuno l’ha raccimolato. Alacremente, anno dopo anno per ben tre lustri Jeff Bezos è diventato signore e sovrano della cultura a catalogo. E come ogni uomo solo al comando che Dio manda in terra, Bezos esercita la professione più antica del mondo: il taglieggiamento dei propri sudditi. Chiuso nel suo maniero si gode il cumulo della sua potenza.
Ogni volta che vedo in lontananza il Castello Sforzesco penso che non avrei alcuna chance di far capire a Francesco Sforza che oggi il suo maniero è sì ancora perfettamente in piedi ma è governato dai gatti. E che migliaia di barbari ci entrano ogni giorno senza che nessuno si opponga o sovrintenda ai ponti levatoi. E che nel piano di difesa della città probabilmente il fortilizio non è nemmeno più citato.

Io capisco il tuo fastidio per il cialtronesimo delle scritture istantanee. Ho grande rispetto per la sapienza artigiana della tua bottega e traggo nutrimento dalle tue visioni e dalle tue riflessioni.
In qualche modo comprendo anche la tua apprensione per il futuro dell’editoria, che è l’apprensione di molti, da parecchi punti di vista. Ma il futuro non solo non è già qui, né tanto meno può essere uniformemente distribuito: il futuro non esiste. Esiste solo la promessa e la possibilità dell’autopubblicazione. Inutile battere le strade consuete: quelle sono già di Amazon, la variante di valico è di Apple e la Bre-Be-Mi non è imboccabile dalla A4. Se proprio volessi e potessi imb(r)occarla, sappi comunque che non ha ancora neppure un’area di servizio.
La battaglia dell’editoria si vince prima di andare in stampa. Quindi vendendo la scrittura prima che sia edita. Sarà brutto, pecoreccio e cialtrone quanto si vuole. Le macchine volanti si accartocciano al suolo come mortadelle ingozzate di pistacchi. Le scritture in pastella sono esecrabili e fanno ridere. L’alternativa è pender dalla forca di Jeff. Scegli tu.
E francamente al fastidio del cappio al collo continuo a preferire il fastidio della cialtronaggine senza costrutto.

Mi fermo tuo,

gallizio

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