Sono undici anni che rubo le foto di mario pischedda. Lui è d’accordo, non discute mai le cose che faccio io. Lui le foto le cancella, e ha iniziato a farlo un paio d’anni prima che snapchat ci costruisse sopra un impero. Inizialmente è stato un furto su commissione. Un furto su commissione con scasso. Era il 2004 o il 2005. Mi scrive un amico: “C’è un sardo pazzo che vuole il tuo numero”. Né io né lui conoscevamo pischedda. Lui però aveva deciso che sarei stato il suo editore. Cosa che è avvenuta 4 anni dopo, per suo esclusivo merito. Mi scrive, lo chiamo al telefono: mi manderà delle foto e io ci assocerò un testo. Nasce la nostra personalissima via alla scrittura automatica. Si chiama nonletture: testi-da qualche parte-in attesa di-una fotografia di-mario pischedda. Ce ne sono centinaia. Diverse: foto rubate, su commissione dell’autore. Da allora il delitto continua a perpetuarsi con altri media. Su FB ad esempio. Prima di capire, quando pubblicava una sua foto io mettevo “mi piace”, o un commento. Spesso la condividevo. Salvo poi vederla sparire poche ore, se non pochi minuti dopo. Per combattere l’ossessione dell’autorialità/referenzialita’ mario si auto-distrugge per principio. Non c’è foto bella o brutta che tenga: dopo un po’ – dopo poco, in effetti – si cancella. Raramente “ a grande richiesta” si ripubblica. Ma non segue una logica nel farlo. (marcel) duchamp può stare tranquillo.
Ora, ogni tanto, lo taggo. Non tanto per lui, ma per i malcapitati che potrebbero pensare che quelle foto sono mie. Certo: sono mie: le rubo da undici anni a mario. Tre anni fa è venuto a milano per una mostra (intendo una sua mostra, con eu). Un amico con grande scorno mi prende da parte e mi dice “ero convinto fossi tu mario pischedda”. Forse. Anche si? Intanto gli rubo le foto e le ripubblico a nome mio. Lui, in compenso, si autopubblica in nome di gallizio, una sua creatura. Vuoi vedere che sono davvero io? Chi, gallizio o mario pischedda? Non fa differenza. Rubare a se stessi è rubare ai ricchi per dare ai poveri in spirito (sempre poveri). Chi ruba a chi in nome di cosa? Non capisco. Sono undici anni che rubo, non capisco ma intanto cambio. Ricambio. E cambio ancora, perché il cambiamento prima lo si produce e poi lo si pensa. Produrre un cambiamento nel pensiero è possibile solo partendo da un’azione. Un gesto che strappa un cambiamento (terza volta, ma necessaria) al dipanare dei giorni. Incolumi gli moriamo dietro. All’autore. Se mai ce ne fosse uno. mario. Lo strabico.
Per tenere in piedi i pezzi divarica lo sguardo all’infinito. Forse sta semplicemente avvistando venere.
Se vedi venere sei già morto.

{ Addenda }
Dello strabismo verticale
[mon cher gz]
quest’ultima f/oto/grafia mi è costata talmente tanto che mi porto dietro permanentemente il cosiddetto “strabismo di venere”, nel mio caso verticale, qualcuno dice che dona, per fortuna, la prossima volta ti guarderò in contemporanea con l’occhio sinistro la testa e con l’occhio destro i tuoi piedi, quasi una visione stereofonica, per fortuna mi capisci e com/patisci
{ mp }